“Fate attenzione!” – Quante volte genitori e insegnanti chiedono a bambini e ragazzi di stare attenti e di prestare attenzione ad un compito o ad un’attività? O anche ad un pericolo? Tantissime, forse troppe!

Effettivamente l’attenzione è una di quelle funzioni esecutive, come la memoria, che ci permette di relazionarci con il mondo esterno, di apprendere, di portare a termini compiti anche molto semplici, come guardare la TV, fare un gioco o seguire un discorso. Come per tutto ciò che riguarda il nostro cervello, è fondamentale quindi conoscerla, stimolarla ed allenarla nei bambini, fin dalle prime tappe dello sviluppo per diventarne consapevoli ed in grado di gestirla efficacemente!

Cos’è veramente l’attenzione?

Partiamo prima di tutto da una definizione di attenzione scientificamente valida.

L’attenzione è l’insieme dei dispositivi e dei meccanismi che consentono di concentrare e focalizzare le proprie risorse mentali su alcune informazioni piuttosto che su altre; è quella funzione cognitiva che ci permette di essere consapevoli e presenti in un certo momento o in una certa attività. Se pensiamo all’enorme quantità di informazioni che ci raggiungono in ogni momento della nostra vita, ci rendiamo conto di quanto sia importante l’attenzione, dal momento che ci permette di selezionare, organizzare e categorizzare gli stimoli dell’ambiente esterno e poi di adattarci ad essi.

Il processo di orientamento delle risorse attentive può essere automatico oppure volontario. Nel primo caso, il processo attentivo non può essere interrotto, se non con uno sforzo consapevole, e riguarda stimoli spesso improvvisi e/o particolarmente significativi per la persona (ad esempio, sentire un grido di aiuto o il proprio nome, vedere una luce intensa lampeggiante sono tutte situazioni che potrebbero attirare la nostra attenzione in modo automatico). Nel secondo caso, invece, l’orientamento volontario dell’attenzione fa riferimento alla capacità di dirigere le proprie risorse mentali in modo intenzionale e controllato (per fare un esempio, ci si può concentrare su una pagina di storia e non fare caso alle voci in sottofondo).

Altro aspetto fondamentale è che le nostre risorse attentive, pur essendo rilevanti e costantemente in crescita dall’infanzia fino all’età adulta, non sono illimitate. E’ per questo motivo che se provassimo ad eseguire contemporaneamente due compiti, sperimenteremmo più fatica e probabilmente manterremmo la concentrazione per un tempo minore. Lo stesso vale per i tempi della nostra attenzione: è impossibile mantenerla focalizzata su di un compito per tempi prolungati senza sperimentare un calo fisiologico dopo circa 40-45 minuti. 

L’attenzione quindi non è un processo stabile, ma dinamico e fluttuante; può essere guidata e calibrata in modo consapevole soltanto tenendo conto di questi limiti neurobiologici.

Come l’attenzione supporta lo studio…

Tutto ciò che abbiamo detto sull’attenzione è particolarmente evidente nello studio e nell’apprendimento in generale. Per risolvere un’espressione aritmetica, per studiare una pagina di geografia, per scrivere un tema è ovviamente necessario che il focus delle risorse attentive sia sul compito e che lo studente orienti la sua attenzione su ciò che riguarda l’attività che sta svolgendo, evitando e gestendo il più possibile lo spostamento automatico di essa su altri stimoli.

Per studiare le informazioni in entrata devono essere elaborate e filtrate e uno dei primi processi cognitivi che si attiva di fronte ad un’attività di questo tipo è proprio l’attenzione. Grazie ad essa, possiamo focalizzarci su quell’argomento o su quel calcolo specifico e tralasciare gli altri stimoli dell’ambiente circostante, facendo così in modo che le nostre risorse attentive (ahimè, non infinite!) siano il più possibile disponibili per il nostro obiettivo di studio. Inoltre, i processi attentivi vengono coinvolti anche nella selezione delle informazioni più importanti, nell’organizzazione e nella comprensione del materiale… in poche parole, trasversalmente a tutte le fasi dello studio!

…e come a volte lo limita!

E’ importante ricordare, a proposito di studio e attenzione, che l’andamento dell’attenzione non è mai costante, ma segue delle oscillazioni fisiologiche, in parte soggettive e diverse a seconda dell’età e delle caratteristiche neurobiologiche. Tendenzialmente (non dimentichiamo le tantissime differenze individuali!!) il picco delle nostre risorse attentive durante lo studio o lo svolgimento di un compito si verifica dopo 10-15 minuti dall’inizio di un’attività; poi, con il passare del tempo, l’attenzione tende a calare spontaneamente e a ridursi significativamente intorno ai 40-45 minuti. Di conseguenza, quando avviene ciò, è più faticoso restare focalizzati sul compito e controllare quella tendenza automatica della nostra attenzione a fluttuare e a spostarsi su altri stimoli esterni.

Strategie per convivere con i limiti dell’attenzione nello studio

Ora che abbiamo approfondito com’è fatta la nostra attenzione, come funziona e che impatto ha nell’apprendimento, vediamo qualche strategia che può essere utile proprio per utilizzarla al meglio e compensare i limiti neurobiologici che noi tutti, chi più chi meno, condividiamo.

  • Eliminare il più possibile le fonti di distrazione durante lo studio, come TV, videogiochi e cellulari. Le nuove generazioni sono nate in un’epoca digitale e multi-tasking e sono abituate ad essere bombardate da stimoli continui. Se da un lato questo può arricchire e soddisfare la curiosità e l’interesse di bambini e ragazzi, dall’altro può diventare una sollecitazione eccessiva e non finalizzata, che a sua volta può interferire con la capacità di orientare selettivamente l’attenzione e di mantenerla in maniera continua soltanto su un compito. Di conseguenza, è fondamentale limitare questo “bombardamento”, rendendo così l’ambiente di studio ed in generale la quotidianità dei ragazzi più libera e pulita. L’attenzione deve portar fluttuare, ma anche soffermarsi in maniera consapevole senza essere continuamente attirata da input continui.
  • Allenare il dialogo interno e le auto-istruzioni. Come abbiamo precisato sopra, l’orientamento dell’attenzione può essere intenzionale ed è quindi importante allenarsi a focalizzarla in maniera consapevole. Per fare ciò può essere molto utile il dialogo interno, ovvero la capacità di guidare le proprie attività dandosi delle istruzioni (a voce bassa o anche a mente); in questo modo, si favorisce la pianificazione e l’organizzazione del comportamento e delle azioni, ma anche l’orientamento delle proprie risorse attentive, quasi come se dovessimo addomesticarle e renderle disponibili a seconda dell’obiettivo di studio.
  • Organizzarsi e costruire una routine di studio. Nello studio, è sempre utile un’adeguata pianificazione del pomeriggio e della settimana, che tenga conto dell’attenzione e dei suoi limiti nel corso della giornata. Infatti, dal momento che studiare richiede una certa quantità di risorse attentive, è necessario prevedere di farlo quando queste ultime sono disponibili. Per conciliare tutte le attività, molto spesso tante ed impegnative a livello mentale, possono aiutarci le pause, soprattutto se strategiche e pianificate. Ad esempio, 15 minuti di relax ogni 45 minuti di studio, quando ormai le risorse attentive si riducono spontaneamente, permettono all’attenzione di fluttuare liberamente, a differenza di quanto avviene durante un compito impegnativo, e così di ricaricarsi e tornare disponibile. Ci sono poi delle variazioni soggettive nella nostra capacità attentiva nel corso della giornata, variazioni che vanno sempre tenute in considerazione nella costruzione delle routine di studio.  

E’ possibile allenare l’attenzione?

Assolutamente sì. Essendo una funzione cognitiva, pur con i suoi limiti neurobiologici, è possibile allenare ed incrementare entro certi limiti le proprie capacità attentive attraverso delle attività che stimolino la focalizzazione dell’attenzione (ovvero il mantenimento del focus su stimoli sempre più complessi), la capacità di inibizione e di selezione di input simili tra di loro, la flessibilità (cioè la capacità di modificare velocemente il focus attentivo), l’attenzione visiva e/o uditiva.

Per allenarsi non serve strutturare necessariamente delle attività complesse, articolate (e a volte noiose!): basta giocare!! Proprio così, molti giochi permettono ai bambini di allenare le loro capacità attentive in crescita e di provare ad auto-regolarsi in maniera divertente e soprattutto condivisa con un adulto o con i coetanei; infatti grazie all’alternanza dei turni e alla cooperazione per un obiettivo finale è possibile non solo incrementare le proprie funzioni cognitive coinvolte nel gioco, ma anche apprendere nuove strategie e risorse dagli altri.

Proviamo a fare qualche esempio. Nel gioco Memory viene stimolata molto l’attenzione visiva, così come nel gioco Shangai, nel quale viene allenata anche la focalizzazione dell’attenzione e l’auto-regolazione nel compito. Esistono poi molti altri giochi con le carte che sono utili per la flessibilità attentiva e per la capacità di spostare rapidamente il focus dell’attenzione da uno stimolo all’altro, dal momento che gli obiettivi del gioco vengono continuamente modificati senza preavviso. Insomma allenatevi e soprattutto… divertitevi!!

Riferimenti bibliografici:

  • Anolli, L., Legrenzi, P., Psicologia generale. Il Mulino (Bologna), 2006;
  • Cornoldi, C., Gardinale, M., Masi, A., Pettenò, L., Impulsività e autocontrollo. Interventi e tecniche metacognitive. Edizioni Centro Studi Erickson (Trento), 1996;
  • Hansen, S. A., Organizzazione e concentrazione: il mio libro di esercizi. Attività per sviluppare le capacità di pianificazione, attenzione e controllo emotivo. Edizioni Centro Studi Erickson (Trento), 2016;
  • Nolen-Hoeksema, S., Fredrickson, B. L., Loftus, G. R., Wagenaar, W. A., Atkinson & Hilgard’s Introduzione alla Psicologia (15° edizione). Piccin Nuova Libraria (Padova), 2011.A

 

Articolo a cura di Nellia Arciuolo, psicologa, –  Laboratori Anastasis

 

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