Negli anni ’90 è nato un nuovo termine all’interno dei movimenti per i diritti delle persone autistiche: neurodiversità.

Il termine fu utilizzato per la prima volta dalla sociologa australiana, con sindrome di Asperger, Judy Singer alla fine del 1990. Il suo obiettivo era quello di spostare l’attenzione sui modi atipici di imparare, pensare ed elaborare le informazioni che caratterizzano queste condizioni invece delle solite definizioni che si soffermano esclusivamente su deficit, disturbi e menomazioni.

Parigi, 1889, nei sotterranei del Bureau International des Poids et Mesures (in italiano, ufficio internazionale dei pesi e delle misure), in una stanza blindata e sotto tre campane di vetro, viene posizionato un cilindro metallico chiamato Grand Kilo. Questo rappresenta lo standard mondiale del chilogrammo e a esso fanno riferimento tutte le bilance dei Paesi che lo impiegano come unità di misura della massa.

Per quello che riguarda il cervello umano, esiste uno standard, un prototipo mondiale al quale devono essere confrontati tutti gli altri cervelli umani? Assolutamente no!

Negli ultimi due decenni diversi studi suggeriscono che molti disturbi del cervello o della mente si caratterizzano sia di punti di forza che di debolezza.
Vivanti (2016) ci invita a “pensare al bambino con autismo come ad un bambino che impara in modo diverso, anziché ad un bambino che impara “di meno”, questa visione crea un cambiamento di prospettiva che spinge all’azione”. Vivanti in un’intervista prosegue “L’obiettivo dell’intervento non è quello di curare la diversità ma di facilitare l’apprendimento di abilità che aiuteranno il bambino a godere delle stesse opportunità dei suoi coetanei. A seconda dei casi, alcune caratteristiche dell’ autismo possono essere di ostacolo o di aiuto per questo processo. Per esempio, nel caso un bambino che passa la giornata a guardare un ventilatore, questo comportamento ripetitivo avrà probabilmente un impatto negativo sul suo sviluppo. Invece se un bambino ha un interesse ripetitivo per i dinosauri, questo interesse può essere una chiave per creare opportunità di socializzazione (visite al museo con i coetanei, attenzione condivisa verso libri e cartoni, scambio di figurine etc.) e magari può diventare una carriera professionale, come nel caso di Temple Grandin, una persona con autismo il cui interesse ripetitivo per gli animali ha aperto la strada ad una brillante carriera accademica. Quindi clinici ed educatori devono valutare di volta in volta quando una specifica caratteristica dell’autismo è di aiuto o di ostacolo alla piena realizzazione del potenziale del bambino, considerando la gravità e l’impatto sulle opportunità di apprendimento e socializzazione.”

Punti di debolezza

Tra gli aspetti che emergono come fragilità nelle persone con disturbo dello spettro autistico Vivanti e Cottini (2013) riportano gli aspetti legati all’attenzione, ovvero tempi brevi attentivi e una difficoltà di spostare l’attenzione da uno stimolo all’altro (attention shifting), inoltre emerge una preferenza verso i dettagli e una carenza nell’uso sociale dell’attenzione (condividere il medesimo interesse). Quest’ultimo concetto è molto rilevante e prende in considerazione gli aspetti sociali dell’apprendimento. La loro attenzione infatti non è catturata dagli stimoli sociali, come succede nello sviluppo neurotipico, e su questo punto Vivanti (2016) condivide un interessante pensiero: “E’ plausibile che un bambino la cui attenzione è catturata spontaneamente dalle azioni, emozioni e le parole degli altri, diventi sempre più autonomo nella capacità di incorporare nuove conoscenze relative al mondo sociale. Per questo l’attenzione sociale, l’attenzione condivisa e altri “pilastri” dell’apprendimento sociale come l’imitazione sono un target fondamentale per l’intervento precoce – il bambino, facendo attenzione a quello che fanno e che dicono le persone intorno a lui, può acquisire autonomamente nuovi comportamenti che lo aiuteranno a creare nuove opportunità di apprendimento e a navigare la complessità del mondo sociale in modo sempre più autonomo.” Ne consegue che la minore tendenza a osservare ed imitare gli altri e le difficoltà nell’area della comunicazione possono ostacolare enormemente il processo di apprendimento (Cottini – Vivanti, 2013).

Punti di forza

Secondo Cottini e Vivanti (2013) le persone con disturbo dello spettro autistico riescono meglio in attività mediate da informazioni visive e sulla memoria visiva. In particolare le persone ascrivibili al profilo dell’alto funzionamento dimostrano buone capacità di analizzare e comprendere le regole che governano i sistemi chiusi e padroneggiano le regole di funzionamento di sistemi meccanici. Questo viene confermato anche da Baron- Cohen et al. 2009 i quali riferiscono che le persone con diagnosi di disturbo dello spettro autistico, ad esempio, sembrano avere punti di forza legati al lavoro con i sistemi informatici (ad esempio, i linguaggi di programmazione e i sistemi matematici) e si rilevano migliori rispetto a soggetti non autistici nell’individuare piccoli dettagli in modelli complessi.

Quindi cosa fare?

L’indicazione di Vivanti (2010) è quella di insegnare in modo speciale, mettendoci nei panni dei ragazzi con disturbo dello spettro autistico, tenendo conto di tutte le peculiarità che caratterizzano la cognizione e la comprensione del mondo nell’autismo. Inoltre ci sembra interessante partire da un assunto di base per cui non esiste una strategia d’azione che funzionerà per TUTTI e non esistono scorciatoie. Non si può impostare nessun lavoro senza una conoscenza dettagliata delle caratteristiche del singolo ragazzo (Cottini, Vivanti 2013).
Sicuramente sarà importante personalizzare al massimo il percorso e l’intervento con ogni singolo alunno, tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche di apprendimento.
Uno dei possibili strumenti che può rispondere a questo elevato livello di personalizzazione è il Software GECO, che permette la creazione di materiali, mappe multimediali e schede. Nella tabella che segue vengono riportate in modo riassuntivo le possibili fragilità e i punti di forza presenti nell’autismo e nella colonna accanto come il software risponde.

AUTISMO GECO
Apprendimento visivo Più di 5000 immagini semplici
Difficoltà nella programmazione motoria Pochi passaggi procedurali e atti motori molto semplici
Difficoltà a Gestire i Cambiamenti Prevedibilità
Difficoltà di Comprensione Associazione parola /immagini
Difficoltà di esposizione orale / produzione linguistica Mappe
Difficoltà nell’inibire risposte non adeguate Ambienti e immagini prive di distrattori visivi
Difficoltà di spostare in modo flessibile l’attenzione Facile passaggio da un ambiente all’altro (editor, mappe, web, pdf)

 

Inoltre questo strumento permette un approccio multicanale all’apprendimento con i suoi quattro ambienti di lavoro, Quaderni, Libri, Mappe e Web e strumenti utili come il raccoglitore di immagini e la calcolatrice con cronologia e sintesi vocale. GECO aiuta ad apprendere con suoni, immagini, sintesi vocale e mappe, individualmente o in classe, anche con la LIM.

Aspetto molto rilevante inoltre è la possibilità di effettuare una configurazione personalizzata ovvero, la possibilità di attivare / disattivare le funzioni dello strumento a seconda delle necessità del ragazzo. Sempre nell’ottica di potenziare l’autonomia di utilizzo, il software ha un’interfaccia e i comandi molto semplici ed iconici, questa caratteristica permette all’alunno di poterlo utilizzare fin da subito con dimestichezza ed efficacia.

 

Immagine Configurazione GECO

Finestra di Configurazione di GECO – Click sull’immagine per ingrandire

 

Un’ulteriore aspetto importante è la possibilità di personalizzare le immagini inserendo nella galleria immagini proprie dello studente, dei suoi amici o contesti. In questo modo si rende possibile creare mappe e tabelle sulle autonomie o sugli aspetti relazionali utilizzando fotografie reali e con un significato per il ragazzo.

Questi tipi di software devono fungere da strumenti che permettano di personalizzare il progetto sul singolo ragazzo, sui suoi apprendimenti a breve medio e lungo termine, valorizzandone i punti di forza con l’obiettivo di rispettare le neurodiversità.

Contenuti a cura di Vania Galletti, psicologa-psicoterapeuta, Laboratori Anastasis

 

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