Cos’è l’immaginazione?

Albert Einstein in un’intervista del 1929 disse “L’immaginazione è più importante della conoscenza …”, e aggiunse “… la conoscenza è limitata. L’immaginazione abbraccia il mondo”.

La possibilità di creare immagini mentali è indubbiamente una delle attività più sorprendenti della mente umana.

Già dalla psicologia aristotelica si evince come la facoltà di produrre immagini sia qualcosa di connesso ai sensi ma non limitata o condizionata da essi, distinta dall’intelletto e dall’opinione.

La capacità di immaginare permette di uscire dagli schemi della razionalità e dà l’opportunità alla mente di esplorare nuove prospettive. Partendo da questo presupposto risulta subito chiaro come questa capacità possa avere un ruolo centrale nella risoluzione di piccoli problemi quotidiani fino ad importanti scelte a livello di politica internazionale.

 

Il potere dell’immaginazione…

Alcuni studi scientifici dimostrano che, anche senza una reale esecuzione di movimenti, il solo immaginare un atto motorio determina una stimolazione, anche se molto lieve, dei muscoli interessati dalla visualizzazione. Le stimolazioni non sono tali da arrivare a una contrazione esternamente visibile, ma possono essere registrate attraverso il potenziale elettrico muscolare con l’ausilio di un elettromiografo. Questo fenomeno ideomotorio si definisce Effetto Carpenter.

Un ricerca statunitense ha suddiviso in due gruppi alcuni giocatori di basket, di pari livello tecnico e abilità cestistiche. Il primo gruppo fu invitato a immaginare se stessi in azione prima di eseguire un tiro libero, agli altri invece non fu data alcuna indicazione. I risultati furono che circa il 55% dei giocatori che aveva utilizzato la visualizzazione ebbe successo al primo tentativo, mentre solo il 10% degli atleti che non usò la visualizzazione riuscì a fare canestro al primo colpo.

Quando infatti i giocatori si visualizzano mentre svolgono il gesto, si evidenziano cambiamenti elettromiografici negli stessi gruppi di muscoli che sarebbero stati attivati se gli individui avessero effettuato veramente il tiro libero. Questi impulsi sono così simili agli impulsi della prestazione reale che i vantaggi che l’atleta ottiene dalla visualizzazione sono equivalenti a quelli che ottiene dalla pratica motoria. (Liggett & Hamada, 1993)

Questo esperimento conferma l’effetto e l’impatto che può avere l’immaginazione a livello concreto e di esercizio fisico, ma non è l’unica area in cui se ne sono apprezzati gli effetti. L’immaginazione infatti è un’importante tecnica che viene ampiamente utilizzata anche in psicoterapia per ri-scrivere l’evento (ad esempio traumatico), donandogli un nuovo significato, ristrutturando quindi la memoria di quell’esperienza, consentendo alla persona di ricordare quella rappresentazione con un nuovo significato o con minor intensità emotiva. La storia dell’impiego dell’immaginazione in psicoterapia ha delle radici già nei secoli scorsi. Pierre Janet invitava il paziente a descrivere i propri ricordi attraverso un’immaginazione da lui guidata (1889). Fino ad arrivare a tecniche più recenti come l’Imagery rescripting (immaginazione con ri-scrittura) il cui interesse scientifico è cresciuto negli ultimi anni, e che è oggi impiegata nella terapia denominata Schema Therapy (Young et al. 2003). L’imagery rescripting è una tecnica terapeutica che consente di recuperare un evento doloroso o traumatico dalla memoria e attraverso l’impiego guidato dell’immaginazione, si modifica l’attivazione e l’impatto di quel ricordo, orientandolo a un esito differente o più favorevole per la persona (Van der Wijgaart; 2022, 7).

 

Immaginazione e creatività

L’immaginazione è centrale in ogni processo creativo. Emblematica è la storia del quartiere delle Coriandoline di Reggio Emilia. Il Tascabile racconta il progetto di questo quartiere disegnato dai bambini, frutto di un percorso durato 5 anni che ha coinvolto 700 bambini di età prescolare a cui è stato chiesto “come dovrebbe essere la tua casa?”. Passeggiando per le vie di questo quartiere incontreremo la casa trasparente “così quando piove si può vedere fuori lo stesso” e quella morbida, con i muri curvi come le onde e uno scivolo da usare al posto delle scale. Di fronte la casa “con il tetto sugli alberi” e la casa-fienile “come quella del nonno”, quella “preziosa” dove si possono creare giochi di luce al suo interno e quella “dura, perché se viene il terremoto non si rompe”. Grandi, intime, dure fuori e morbide dentro: le case viste dalla prospettiva dei bambini sono così. La sfida era dare una forma ai pensieri dei bambini: pensieri espressi sì in forma di desiderio, ma che dichiaravano un bisogno reale. E questo andava preso sul serio. “Non abbiamo chiesto ai bambini di progettare soluzioni e non gli abbiamo dato la matita in mano per fare gli architetti. Ai bambini è stato chiesto di essere bambini, agli adulti di prendersi la responsabilità di ascoltarli.”

Questo è un esempio splendido di valorizzazione della creazione immaginativa libera e dell’introduzione di un aspetto razionale e di pensiero logico attivato solo in un secondo momento.

 

Immaginazione e autismo

Partendo da questi presupposti emerge come la capacità di immaginare possa essere davvero un valore aggiunto nella vita quotidiana, ora è interessante spostare il focus della riflessione su quelle persone che potrebbero essere fragili su questa competenza, per esempio le persone con disturbo dello spettro dell’autismo. Siamo proprio sicuri che sia così?
Da un lato se ci affidiamo al manuale diagnostico del DSM 5 troviamo due aspetti centrali nella manifestazione del disturbo dello spettro autistico (ASD):

  1. un deficit nell’area della comunicazione sociale, che comprende il deficit nella comunicazione (sia linguaggio verbale che non verbale) e il deficit sociale (capacità di interagire socialmente con gli altri);
  2. un deficit di immaginazione, ovvero un repertorio ristretto di attività ed interessi e comportamenti ripetitivi e stereotipati.

Partiamo dal presupposto che la maggior parte delle persone con disturbo dello spettro autistico è condizionata, nel suo pensiero, da regole piuttosto fisse, anzi la loro difficoltà nel quotidiano dipende spesso dalla incapacità di staccarsi da schemi già definiti e di tollerare la variabilità degli accadimenti.

Sulla base di ciò, potremmo dedurre che queste persone siano prive di immaginazione. Ma non è così.

Ad allargare la prospettiva su questa tematica è uno studio inglese del 2015 il quale pone l’attenzione su un importante paradosso: come possono le persone autistiche avere difficoltà con l’immaginazione ma al contempo essere rappresentate in molti campi creativi? Generano un minor numero di risposte simboliche ma generano risposte piú insolite e questo rende la loro mente unica.

In particolare lo studio, condotto dal gruppo della dott.ssa Martin Doherty dell´Universitá di East Anglia e pubblicato nel Journal of Autism and Developmental Disorders, indaga il paradosso della creatività nell’autismo. Ovvero, se le persone con autismo lieve hanno stili cognitivi favorevoli alla creativitá o se sono svantaggiati dalla rigiditá implicita nello stile cognitivo e comportamentale del fenotipo autistico.

Sono stati valutati 312 soggetti osservando due variabili: la quantità di risposte (fluenza) e la loro rarità (innovazione) davanti a stimoli che richiedevano possibili utilizzi alternativi di utensili e oggetti. In modo sorprendente le persone con elevati tratti autistici hanno generato un alto numero di risposte insolite ai compiti di pensiero divergente, dando 4 o più risposte rare.

Questo puó spiegare il paradosso. È stato infatti ipotizzato che, affinché una condizione genetica complessa possa rimanere all’interno della popolazione, debbano esserci vantaggi conferiti ai singoli che ereditano alcuni dei tratti della condizione stessa.

L’incidenza di abilità ed interessi speciali e l’attenzione per i dettagli in alcune persone con autismo è in linea con questa affermazione. Questo studio suggerisce anche che una differenza nel pensiero divergente possa essere tra questi vantaggi. Coerentemente con quanto conosciuto in precedenza, nello studio i ricercatori hanno trovato prove che la fluenza (numero di alternative) nel pensiero divergente è negativamente correlata alla presenza di tratti autistici. Tuttavia le persone con alti livelli di tratti autistici avevano una maggiore probabilità di produrre risposte insolite e nuove.

Questo sarebbe un potenziale vantaggio cognitivo per il problem solving creativo. Tuttavia bisogna ricordare che lo studio ha coinvolto solo adulti con autismo lieve o subclinico e all’interno del campione era presente una forte variabilità. Se ora abbiamo prova che è sbagliato dire che le persone autistiche non possono essere creative, è altrettanto sbagliato dire il contrario.

 

A cura di: Vania Galletti, Laboratori Anastasis

 

 

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